Il sogno del greyhound nero
Dedico questo breve racconto di fantasia alle donne e agli uomini del rifugio di Law che lavorano per salvare i cani dal mondo delle corse e che in questi giorni ci hanno aiutato come si aiutano fratelli e sorelle. Grazie, spero di incontrarvi presto!
Il sogno del greyhound nero
Laura si svegliò quella mattina con una punta di malinconia nel cuore: il suo soggiorno in Irlanda sarebbe terminato e un aereo la attendeva sulla pista per il suo rientro in Italia alle 13.50. Aveva trascorso due mesi in Irlanda prestando il suo aiuto come volontaria in un rifugio indipendente e aveva toccato con mano la fatica di quegli uomini e quelle donne che lavorano quotidianamente sul filo del rasoio economico e talvolta rischiando la loro vita per salvare i cani. Aveva visto arrivare cani giovani feriti, malmenati, in condizioni al limite della sopravvivenza e li aveva visti rifiorire, come per magia, tra le mura del rifugio, finalmente in salvo.
Dalla finestra della sua stanza osservò ancora una volta il paesaggio che l’aveva accompagnata in quella magnifica avventura: dolci colline a perdita d’occhio punteggiate di mucche e pecore intente a brucare serenamente, un cielo che da azzurro poteva tramutarsi in viola, e poi nero con un improvviso scroscio di pioggia, ma ciò che amava di più erano le brume mattutine, la leggera nebbia che si diradava mentre in bicicletta percorreva la strada che dal cottage la portava al rifugio.
Quella mattina l’avrebbero accompagnata Kevin e Catherine, i proprietari del cottage dove aveva abitato: le due valige e il borsone nero non potevano certo essere trasportati in bici e quindi il furgone per il trasporto cani quella mattina eccezionalmente avrebbe portato Laura per l’ultima volta al rifugio. Doveva salutare il veterinario che aveva affiancato nei “rammendi” sui poveri corpi martoriati e tutti i volontari con i quali si era divisa il compito della pulizia dei kennel, della somministrazione dei farmaci, dell’ora della pappa, il momento più felice, che faceva strappare un sorriso anche dopo una giornata drammatica, come quando era arrivato Conor, urlante di dolore per una zampa rotta, a mezzanotte, quando stava smontando il turno. Ma in questi casi non si smonta, una telefonata ad Andrew, il veterinario, che in un battibaleno era arrivato al rifugio, il pigiama sotto l’impermeabile per non perdere tempo, aveva sedato il cane, lo aveva operato, e vedendo Martina duramente provata l’aveva accarezzata con un sorriso dicendole: “Questa è la normalità qui. È importante salvarli, dare loro una nuova opportunità di vita, un futuro certamente migliore della vita fin qui vissuta”. E Laura quella notte aveva imparato a non scoraggiarsi mai, che anche un cane che arrivava potenzialmente cadavere poteva tornare a nuova vita, come l’Araba Fenice.
Ma in quella mattina di metà settembre il suo cuore era tutto nel kennel numero 7 dove viveva Mark, un cane ormai molto anziano ed acciaccato, la mascotte del rifugio che tutti coccolavano e riempivano di attenzioni come si deve a un vecchio comandante in pensione.
Mark era in rifugio ormai da tre anni, il suo cuore cominciava a fare le bizze e sicuramente non avrebbe potuto trovare casa in Europa perché impossibilitato a viaggiare.
Laura entrò silenziosamente nel suo kennel, si sedette per terra vicino al suo cuscino, appoggiò delicatamente il capo vicino al muso brizzolato di Mark, lo accarezzò dolcemente e un lieve torpore li prese entrambi, un dormi veglia nel quale Laura si ritrovò ad ascoltare queste parole:
“Sono nero, e adesso, finalmente, sono in salvo. Quando sono nato, nella inconsapevolezza dell’infanzia, ero felice, non sapevo che la vita aveva in serbo per me solo amarezze. Il mio colore mi ha molto penalizzato, il nero porta sfortuna, per di più non sono neanche un grey puro, sono un lurcher, un incrocio: quale sfortuna più grande può esserci nella vita di un cane come me quando si combinano questi due elementi? Sono stato a fianco dell’uomo che non mi ha amato, non mi ha rispettato, mi ha tolto la mia dignità di essere vivente. Poi sono arrivato in rifugio: ora sono un cane anziano, e la mia vita, lo so, è al sicuro qui, dove sono amato, nutrito, curato, accarezzato. Che bello quando sento delle mani che sfiorano il mio pelo e mi massaggiano! Ho una cuccia tutta per me al caldo.
Vorrei trasmettervi un messaggio per le famiglie che stanno pensando di accogliere un cane in casa loro. Vorrei che quando qualcuno di voi pensa di adottare un grey, un lurcher o un mio cugino galgo non si faccia condizionare dall’età. Io ormai sono molto acciaccato, non posso viaggiare e camminare affatica troppo le mie lunghe zampe, ma nelle gabbie dei rifugi ci sono parecchi levrieri anziani che aspettano, che, loro sì, possono viaggiare, che sono in buona salute e non chiedono altro di trascorrere gli ultimi anni della loro vita protetti, coccolati e curati. Anche se non hanno il brio dei cani più giovani, l’irruenza e la voglia di giocare di un cucciolo, hanno molte frecce al loro arco: per esempio sanno adattarsi più facilmente, non chiedono passeggiate particolarmente lunghe anche se qualche corsetta una volta ogni tanto piace, amano una casa calda e un bel cuscinone sul quale riposarsi per lunghe ore nella giornata. Quindi danno meno da fare, e le loro abitudini da “pensionati” non interferiscono troppo nella vita degli umani. Io, dal canto mio, so che non potrò sperimentare questa vita, che mi raccontano sia molto bella e che ci ripaga dello sfruttamento che abbiamo patito, ma quando salirò sul ponte dell’arcobaleno sarò felice se anche una sola famiglia avrà raccolto il mio appello e se saprò che un mio fratello anziano godrà dell’amore di chi saprà guardare nei suoi occhi un po’ annebbiati dall’età e comprendere la sua anima nobile, giocosa, affettuosa, riconoscente anche per un periodo di tempo limitato: l’amore, quello vero non conosce né tempo né limiti”.
Il suono della voce di Kevin la riportò nel mondo reale: “Dai, sbrigati, sei ancora lì?” le disse Kevin “ ti aspettano in cucina per il taglio della torta, Catherine l’ha preparata stamattina presto”.
Laura sorrise, si alzò, un’ultima carezza e una strofinata di naso a Mark, poi di corsa a salutare gli uomini e le donne che l’avevano tanto aiutata a inserirsi nel mondo dei rescue. La torta che Catherine aveva preparato era una meravigliosa piramide di frutta fresca e panna, gli occhi di Laura si velarono di lacrime, mentre il tuttofare Sam iniziava a tagliare e distribuire fette di torta ai presenti. Un attimo di pausa prima del suono del campanello: un uomo e una donna erano oltre il cancello con due cani scheletrici trovati sul fondo del loro campo, legati a un albero, impossibilitati a muoversi e a procurarsi il cibo. La cucina si svuotò in un attimo: tutti ai kennel a ridistribuire i cani per fare posto ai due maschi, uno nero, l’altro bianco e nero, macilenti che a stento si reggevano sulle zampe: di lì a poco si sarebbero trasformati in principi, pronti ad affrontare le incognite di una nuova vita, questa volta senza più pericoli, con esseri umani ben diversi da quelli che avevano conosciuto fino a quel momento.
Era ora: Laura salutò tutti, salì sul furgone alla volta di Dublino, la sua esperienza in terra d’Irlanda era terminata lasciandole una grande ricchezza interiore. Mentre il furgone attraversava la campagna irlandese dove l’autunno iniziava a fare capolino con qualche albero rossiccio e una manciata di foglie gialle qua e là, Laura ripensava alle settimane trascorse, a ciò che quell’esperenza le aveva lasciato: ricchezza umana per i rapporti intercorsi con le persone frequentate in rifugio, con le quali aveva condiviso la birra serale al pub, le carezze e le cure giornaliere ai grey già residenti in rifugio e a quelli che quotidianamente arrivavano, ma soprattutto questa avventura l’aveva avvicinata in modo diverso ai musi lunghi. Aveva visto grey scheletrici, malati, bisognosi di cure, ben diversi da quello che sarebbero divenuti, sì, perché i levrieri, come i gatti, hanno più vite, hanno la capacità di rigenerarsi, se seguiti da persone attente e con l’aiuto delle competenze mediche necessarie, di rifiorire a nuova vita, come se non volessero mai darsi per vinti.
I grey erano stati una grande scuola di vita per Laura: le avevano insegnato cosa vuole dire non abbandonarsi mai al proprio destino ma combattere per la propria esistenza, amarla, saper cambiare per affrontare una vita nuova, non perdere mai la fiducia pur mantenendo una dose di ritrosia e di discrezione.
Arrivata in aeroporto, terminati i saluti con qualche lacrima, nell’animo di Laura albergavano una nuova gioia e una nuova consapevolezza racchiuse in un pensiero: sì, i levrieri imprimono un nuovo passo alle nostre vite, ci donano entusiasmo, e il loro naso umido ci ringrazia più volte nel corso di una giornata, sono loro che ci salvano dall’umana meschinità, anche se pensiamo che siamo noi a salvare loro! Si sarebbe votata alla loro salvezza per sempre. ©nasolungo
Macia Luparia
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