Alcune considerazioni su levrieri, evoluzione e motivazione predatoria
L’intervento della dottoressa Galbiati ha posto in luce alcuni aspetti fondamentali e poco studiati dei levrieri, che meritano di essere approfonditi.
Quelle che seguono sono riflessioni personali che spero utili in questo senso.
Secondo il modello cognitivo zooantropologico, ogni razza ha un profilo motivazionale che è formato da un mix di motivazioni. Per esempio, i retriever hanno una forte motivazione collaborativa e una bassa motivazione territoriale, mentre i levrieri hanno un’alta motivazione predatoria e competitiva e una bassa motivazione collaborativa.
Questo non vuol dire naturalmente che un levriero non sia in grado di collaborare, ma semplicemente che questa motivazione è meno accentuata e dunque si esprimerà meno.
D’altra parte, se consideriamo i levrieri, la motivazione predatoria, comune a molti altri cani, si esprime in relazione alle caratteristiche fisiche che ne fanno eccellenti corridori dalla vista straordinaria.
Inoltre le caratteristiche di razza si esprimono in ogni individuo in maniera non meccanica, e in questo gioca un ruolo essenziale l’esperienza del singolo cane. E qui entra in gioco un aspetto spesso sottovalutato, quando si parla delle caratteristiche dei cani, e cioè il fatto che la loro storia non può essere letta indipendentemente dalla loro relazione con l’uomo.
Il cane infatti non è un lupo e vive a stretto contatto con l’uomo già da migliaia di anni. E l’uomo, con la selezione e con l’addestramento, ha manipolato e indirizzato i profili motivazionali e le caratteristiche fisiche del cane. Un esempio è quello dei cani conduttori degli armenti, come il border collie.
Si tratta di cani con un’altissima motivazione predatoria, che l’uomo ha utilizzato per i suoi scopi: questi cani infatti sono selezionati e addestrati in modo da utilizzare solo la prima parte della sequenza predatoria, occhio, punta e inseguimento, per condurre gli armenti.
Questo vale anche per i greyhound: nei paesi anglosassoni, per esempio, le cucciolate sono attentamente pianificate in modo da massimizzare la possibilità di ottenere campioni in pista. Se guardiamo le cose in un arco temporale ampio, la domanda che dobbiamo porci a proposito dei levrieri è la seguente: date le loro caratteristiche motivazionali e fisiche di base, in che modo l’uomo le ha manipolate?
Storicamente l’uomo ha usato i levrieri per cacciare e, da un certo punto in avanti, per le corse, con lo scopo di divertirsi o di scommettere. Una precisazione è qui doverosa. Un conto è il divertimento del cane, un conto quello dell’uomo. Ogni animale prova piacere nel fare le cose che sa fare meglio, dunque ogni levriero, chi più, chi meno, si diverte a correre. Così come noi ci divertiamo a collezionare oggetti piuttosto che ad andare in bicicletta.
Ma correre non è predare né gareggiare dietro a uno zimbello o a una lepre viva. Qui l’uomo indirizza il piacere nella corsa del levriero per scopi e motivazioni che sono dell’uomo, non del cane.
Ma tornando al discorso di partenza, è evidente che i cani impiegati nelle corse o nel coursing sono cani addestrati per questo scopo, cioè cani che vengono “costruiti” sul piano motivazionale, rafforzando la motivazione predatoria e quella competitiva in maniera innaturale e squilibrata.
Anche la motivazione cinestesica, cioè quella per cui correre è un piacere, viene indirizzata in una sola direzione. Correre per cacciare o correre dietro allo zimbello, e nient’altro. Dunque il levriero selezionato per queste attività è così perché voluto dall’uomo in questo modo: altre motivazioni, come quella collaborativa, sono depotenziate.
Tuttavia i levrieri rescue sono eccellenti compagni di vita, affettuosi e legati all’uomo che se ne prende cura con amore e rispetto. E anche intelligenti e disponibili ad apprendere, se si lavora in questo senso. Ma bisogna lavorare senza rafforzare quello che già è stato rafforzato oltre il limite dai trainer. Fare questo vuol dire potenziare le motivazioni controlaterali rispetto a quelle enfatizzate nelle corse o nel coursing.
Dunque bisogna lavorare, per fare un esempio non esaustivo, sulla motivazione collaborativa piuttosto che su quella competitiva, sulla motivazione epimeletica (cioè quella in cui il cane cerca di dare cure) piuttosto che su quella predatoria, sul piacere di correre senza lo scopo di raggiungere e uccidere una preda.
Dobbiamo poi ricordarci di un concetto, proveniente da un signore di nome Darwin, e cioè che caratteristiche utili in un ambiente possono essere dannose in un altro. Ora, tutti i cani, levrieri o meno, che vivono nell’ambiente umano fortemente urbanizzato non traggono alcun giovamento dal rafforzamento della motivazione predatoria, anzi il contrario. Rincorrere un gatto in città mette a rischio la vita di qualunque cane, dunque non è una caratteristica adattiva ma disadattiva, che noi non dobbiamo incentivare.
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