VITA DA LURCHER
Durante la settimana trascorsa in Irlanda, abbiamo avuto modo di parlare a lungo con Anna, una delle volontarie di LAW, che fa un lavoro “di strada”, ovvero mappa, osserva e cura i lurcher che si trovano nei siti dei Traveller, cercando di accreditarsi presso di loro, come ai tempi fece la fondatrice di LAW, a cui ancora oggi i Traveller portano un enorme rispetto.
Così quando Anna ci invita ad andare con lei in alcuni dei luoghi da cui provengono molti dei nostri lurcher adottati in Italia, accettiamo con entusiasmo.
Decidiamo che è opportuno che vada chi tra noi meglio maneggia lingua e immagini, e così Giulia ed io ci ritroviamo sedute sul furgone di Anna: Giulia sul sedile accanto al guidatore e io nel retro, con una pila di cucce umidicce come sedile e svariati sacchi di crocchette come schienale.
Lungo la strada verso Limerick City Anna ci spiega il lavoro che sta cercando di fare con le famiglie di Traveller che stiamo per incontrare.
Si reca da loro regolarmente, porta loro sacchi di crocchette e pacchi di cibo in scatola, spiega loro come nutrire al meglio i cani e i cuccioli, li aiuta con i cavalli. Cerca di accreditarsi presso di loro come persona affidabile, vincendo la loro diffidenza e mappando la presenza di cani e cavalli. Allo stesso tempo si fa conoscere dai cani.
Ci raccomanda di parlare poco: ci presenterà come due italiane appassionate di lurcher.
Quando arriviamo nel primo sito, è come entrare in un’area dove un luna park ambulante sta sbaraccando, lasciando dietro di sè resti non più utilizzabili.
Baracche prefabbricate ci dicono che lì vive gente, tanta gente.
Posteggiamo e Anna si annuncia a gran voce: siamo subito circondate da numerosi cagnolini mix terrier, chihuahua, yorky.
Un paio di lurcher mix bull che scopriremo avere 7/8 mesi.
Una giovane lurcher nera. Due lupoidi alla catena.
Anna prende una scatola di biscotti e inizia a elargirli a piene mani, li lascia cadere dietro di sè intanto che si sposta, seguita da tutti i cani. Scarica sacchi di crocchette e cibo in scatola.
Ci vengono incontro due ragazzi sui vent’anni, praticamente identici, incluso l’abbigliamento: tuta da ginnastica grigia e stivali di gomma neri. Sono mono-espressivi: salutano Anna, ci osservano di sottecchi. Veniamo presentate come due italiane che hanno lurcher e a cui piacciono i lurcher. Assorbono la notizia impassibili. Ci salutano, educati e cauti.
Anna chiede dei cuccioli e ci accompagnano ad una cassa parto di legno posizionata sotto una tettoia e circondata da rifiuti di ogni genere.
Nella cassa c’è la mamma con i suoi 7 cuccioli di appena una settimana. Giacciono sul legno, i cuccioli attaccati alla madre, e come cibo pane e scarti di macelleria. Putridi. Così come l’odore che esalano.
Noi esprimiamo ammirazione per i cuccioli e veniamo autorizzate a fotografarli.
Anna si arrabbia. Dice che non va bene tenere madre e cuccioli in quel modo. Che il cibo non è adeguato ad una femmina che allatta. Ci lascia coi ragazzi e va a prendere il cibo dall’auto.
Io mi chino per buttare una manciata di biscotti alla mamma e vengo subito redarguita di non avvicinarmi ai cuccioli in quanto la madre potrebbe mordere.
Mentre aspettiamo Anna, il ragazzo mi chiede dei miei cani. Quanti lurcher e quale mix. Gli racconto di Robin e Coco. Mi dice che ha 24 cani di razze diverse e 34 cavalli nel field. È come parlare con una maschera.
Quando Anna torna, si unisce a noi il padre dei ragazzi, in totale 15 figli. È un signore dai modi pacati. Ma tutti hanno occhi inquisitori. Non sorridono mai.
Il ragazzo dice ad Anna di prendere i cuccioli maschi. Anna risponde che li prenderà quando avranno almeno 4 settimane: è impensabile staccare un cucciolo dalla madre prima.
Anna prende il comando delle operazioni: fa uscire la mamma – una bellissima lurcher mix Saluki a pelo lungo molto magra; pulisce la cassa parto; butta pane e avanzi di carne su cui si avventano gli altri cani.
Posiziona un cuscinone pulito, si fa portare un contenitore che riempie di crocchette a cui aggiunge una scatola di sardine sott’olio: “only 50 cent. They are perfect for the hair”.
Con le sue mani mescola il tutto, esce dalla cassa e la madre subito si riunisce ai cuccioli mettendosi a mangiare con appetito.
Poi Anna chiede che venga messa una ciotola di acqua nella cassa perché per allattare occorre bere molto.
Il ragazzo indica dell’acqua putrida poco distante e Anna gli dice che no, quella non va bene. Deve essere pulita.
Noi intanto fotografiamo tutto.
Mentre discute col padre e altri due figli che nel frattempo ci hanno raggiunti, il solito ragazzo mi chiede ancora dei miei lurcher. Come sono fatti. Gli racconto di Coco. Si incuriosisce e mi chiede se può vederla. Così gli mostro una foto: Coco in tutta la fierezza delle sue orecchie. E lì il giovanotto mi esce con una specie di sorriso quasi fanciullesco esclamando: what straight ears!
Un secondo dopo lo sguardo torna inquisitore e il volto immobile.
Il figlio più grande, un uomo di trent’anni, torna con un cagnolino, chihuahua mix. Lo mette in mano a Anna, le dice di tenerlo. Forse un ringraziamento per il cibo che ha portato. Forse a compensare il fatto che i lurcher che le avevano promesso non ci sono più.
E a proposito di lurcher spariti, le chiedono se ha sentito di un lurcher maschio tigrato che da due giorni non trovano più. Anna si arrabbia: quante volte gli ha detto di tenere al sicuro i cani? Che possono finire sotto le macchine?
Ed è giunto il momento dei saluti. Mentre ci scortano al furgone, il ragazzo mi chiede cosa ne faccio dei miei lurcher: do you resell them? Per tutto il tempo ha pensato che rivendessimo i cani in Italia.
Anna promette loro di tornare la settimana successiva per vedere i cuccioli. Si raccomanda di fare come ha detto e ce ne andiamo.
In meno di 5 minuti raggiungiamo il secondo insediamento. È diverso dal precedente. Qui le case sono in muratura, sembra quasi di entrare in un complesso residenziale, se non che all’ingresso, sul lato della strada, giàcciono due cani, apparentemente morti, e si vedono alcune casette di legno che intuiamo essere cucce.
Posteggiamo davanti ad una di esse dove un uomo e diversi ragazzi tra i 18 e i 4 anni sembrano attenderci. I ragazzi si assomigliano tutti: stessa faccia, stesso taglio di capelli, stesso sguardo, tra l’incuriosito e l’indagatore. I più piccoli sono gemelli, vestiti uguali: maglietta gialla e pantaloncini corti. Si tengono a distanza ma seguono tutti i nostri spostamenti.
Anna ci presenta sempre come due italiane appassionate di lurcher. Il padre dice qualcosa molto velocemente e incomprensibilmente. Anna gli chiede di parlare lentamente perché altrimenti noi non riusciamo a capire: no problem, I’ll talk slowly.
Anna chiede dei cuccioli. Ha una cucciolata di mix Saluki.
Ci accompagna in un kennel a cielo aperto, tranne che per una casetta in muratura dove i cani possono ripararsi.
Il kennel è sporco di escrementi un po’ ovunque. Anna dice che non va bene, che va tenuto pulito. Allora il padre manda perentoriamente il figlio più grande a prendere una pala per pulire. Il ragazzo arriva con la pala, più per scena che per altro: nessuna pulizia viene fatta. Almeno per tutto il tempo che restiamo lì.
Anna chiede se possiamo fare foto ai cuccioli ed essi acconsentono.
Nel kennel c’è una lurcher a pelo ruvido bianca e nera, e i suoi 7 cuccioli, bellissimi.
Mi chino per fotografarli e il padre si china insieme a me davanti alla casetta.
Ne afferra uno, nero, facendolo guaire e mi sollecita a toccarlo per verificare quanto sia morbido il pelo, fluffy.Da lì, ci portano ad un altro kennel, dove ci mostrano due cuccioli di spaniel, uno cioccolato e uno nero. I kennel sono tanti, tutti chiusi, bui.
A questo punto il padre mi chiede quando torniamo in Italia. “Tomorrow”. Me lo fa ripetere 3 volte. Alla fine sembra soddisfatto della risposta.
Ci spostiamo nel cortile posteriore. Anche qui kennel chiusi. Lurcher che si aggirano circospetti.
Il padre dice a Anna che della cucciolata di 16 lurcher ne sono rimasti solo 6.
Quando apre la porta del kennel il motivo della mortalità appare evidente: il luogo è sporco, anche qui il cibo è costituito da scarti di macelleria. La mamma esce dal kennel, una lurcher nera a pelo lungo. I cuccioli hanno 7 settimane. Sono un po’ magrolini. Si affacciano con cautela alla porta.
Anna si agita, dice che così non va bene, che il cibo non va bene, che per forza muoiono. Vede un cucciolo in fondo al kennel che non si muove. Lo osserva e sentenzia che va portato subito dal veterinario perché altrimenti morirà. Il padre e il figlio maggiore fanno cenno di no con la testa: nessun veterinario.
Anna lo ripete: se non viene portato dal veterinario, il cucciolo non arriverà all’indomani. Padre e figlio fanno di nuovo cenno di no, nessun veterinario.
E qui sorprendentemente accade che il figlio forse tredicenne prende il cucciolo e lo metta in braccio ad Anna dicendole: Take him to the vet, the puppy is mine and it’s me who make the decision. Take him to the vet – portalo dal veterinario. Il cucciolo è mio e faccio quello che voglio.
Anna non se lo fa ripetere, prende il cucciolo, lo mette sul furgone e mi chiede di restare con lui, prima che ci ripensino.
Mi siedo sul sedile con in braccio questo scricciolo scosso da brividi continui.
Il ragazzino si avvicina al finestrino, non so con quali intenzioni, ma viene distratto da un bambino sdraiato sul muro di cinta della casa di fronte che gli chiede perché le ha dato il cucciolo.
E lui ripete di nuovo: perché è mio e faccio quello che voglio, e così dicendo raggiunge il padre e il fratello più grande che hanno portato Anna e Giulia a vedere il padre di queste cucciolate: un levriero Saluki puro, molto magro, tenuto alla catena e per nulla amichevole. Il cane alla loro vista salta, si agita.
Pensano sia divertente e lo aizzano per farlo saltare ancora. Il padre alza il braccio, un gesto rapido che fa sì che il cane chiuda gli occhi e abbassi istintivamente la testa. Un gesto che racconta altro.
Anche qui Anna scarica pacchi di crocchette e cibo in scatola. Spiega come utilizzarlo, si raccomanda di pulire, di buttare gli scarti di carne.
Partiamo verso il veterinario più vicino. Dall’insediamento ci seguono, ci scortano, verificano che di fatto stiamo portando il cucciolo dal veterinario.
Il cucciolo continua a tremare e a fare un verso simile a quello di un piccione.
Dal veterinario ci stanno aspettando: lo prendono in carico, lo idrateranno e faranno tutti gli esami del caso.
Come si chiama? Anna ci guarda: come volete chiamarlo? Un nome italiano!
Noi ci guardiamo prese alla sprovvista e di getto esce “Ugo!”. What? Oh Hugo!
E Hugo sia.
Fuori dal vet le emozioni tracimano e anche Anna ha gli occhi pieni di lacrime: è dura sostenere la parte di chi rimane indifferente a tanta trascuratezza e incuria.
Un ultimo insediamento ci attende: in questo, i Traveller allevano esclusivamente cavalli. I cani sono pochi e diciamo che li tengono “per compagnia”.
In realtà non si tratta di un insediamento vero e proprio: i Traveller vivono in un contesto di tipiche villette a schiera, mescolati a gente comune.
Ci fermiamo poco: insieme ai bambini andiamo a vedere la cuccia che ha chiesto venisse costruita per Jojo, una struttura che la ripari dal freddo e dalla pioggia.
Quando torniamo al furgone, Jojo è sempre seduta all’interno. I bambini sono sempre nei pressi e Anna è costretta a farla scendere: deve prenderla in braccio perché Jojo proprio non ne vuole sapere. Con grande rammarico ce ne andiamo, lasciandola lì, a guardarci sul bordo della strada. Le ultime parole di Anna per lei sono: Not today, Jojo. Next time – Non oggi, Jojo. La prossima volta.
Mentre col magone ci allontaniamo, Anna ci confessa che se non ci fossero stati i bambini a guardare, Jojo sarebbe venuta via con noi. Ma è solo questione di tempo, e la porterà via.
La giornata si è così conclusa. E’ stata un’esperienza di emozioni forti e contrastanti. Siamo state testimoni di luoghi e persone di cui in questi anni abbiamo solo sentito parlare.
Abbiamo respirato odori, udito suoni, visto immagini, percepito e vissuto emozioni che prima di oggi avevamo solo immaginato, e forse neanche in tutta la loro portata.
Ci siamo commosse, irritate, angosciate, straziate. Lasciare Jojo sul bordo della strada è stata la goccia che ha colmato la misura.
Salvare il piccolo Hugo è stato grandioso, ma che sarà degli altri cuccioli che abbiamo lasciato indietro? E che dire di Anna? Della sua forza, del suo coraggio, della sua capacità di farsi accettare come persona competente, in grado di aiutare. Del suo entusiasmo e di tutte le emozioni che ogni volta deve tacitare e nascondere.
Abbiamo vissuto e imparato tanto in un solo giorno. Abbiamo acquisito una straordinaria consapevolezza del contesto da cui i nostri cani, i nostri lucher, arrivano, e ancora una più grande ammirazione per la loro capacità di non arrendersi ma di reinventarsi nelle nostre case e nelle nostre famiglie per quei cani “fedeli” che il loro nome significa.
Io amo i lurcher. Li amo dal giorno in cui Robin è entrata nella mia casa. Penso che adesso Giulia comprenda meglio questa mia predilezione, e soprattutto mi auguro che iniziate un po’ ad amarli anche voi che avete avuto la pazienza di leggere fino a qui.
Paola C, Giulia R e l’Irelandream Team che faceva il supporto da casa.