Perché le corse non rendono i greyhound felici, ma frustrati
L’industria delle corse sostiene che le corse rendono felici i greyhound, perché in fondo i cani fanno quello per cui la natura li ha forgiati. Dunque chi fa correre i cani sarebbe quasi un benefattore. D’altra parte, anche alcuni che fanno correre i cani in modo amatoriale, sostengono questo. Solo che, secondo loro, la mancanza delle scommesse rende le corse in pista amatoriali accettabili, anzi, divertenti per i cani.
In realtà tutto questo non è vero.
Sono gli stessi trainer a dirci che “i cuccioli non imparano a correre attorno a una pista da soli. Mentre per loro è naturale rincorrere una preda viva in un campo, inseguire un fantoccio di lepre richiede molta istruzione.” Il verbo usato dal nostro trainer, to chase, significa inseguire, e inseguire non è sinonimo di predare. La “predazione” durante la caccia è tutt’altra cosa, è un’arte molto più elaborata, complessa, fatta da precise fasi, con un inizio, uno svolgimento e una conclusione. Dunque correre in pista dietro a un fantoccio non è la stessa cosa che correre dietro a una animale vivo e tantomeno cacciarlo.
Correre è diverso da inseguire ed è diverso da cacciare. Questi tre comportamenti possono in parte sovrapporsi ma non sono la stessa cosa.
I greyhound sono predatori e la loro sequenza predatoria è generalmente la seguente:
individuare – inseguire – mordere per afferrare – mordere per uccidere – sezionare – consumare
Correre è solo una delle fasi, e nella predazione è finalizzata a prendere la preda, ucciderla, sezionarla e consumarla. In soldoni, la motivazione predatoria dei levrieri fornisce gratificazione e appagamento solo a patto che quantomeno si catturi la preda.
Il punto è che quando una motivazione viene esercitata in continuazione ma non viene soddisfatta, si va in frustrazione.
Immaginate che vi piaccia moltissimo fare una cosa, come una bella nuotata; immaginate che qualcuno vi porti al mare e vi faccia arrivare a riva, il mare è li, invitante, voi fate per tuffarvi ma…vi portano via. Una volta, due, tre, quattro…non c’è dubbio che sarete frustrati.
I greyhound in pista corrono e corrono, ma non prendono mai la lepre. Anzi, una volta terminata la corsa il fantoccio sparisce di colpo e loro vengono bloccati, legati al guinzaglio e spostati come fossero pacchi. Cornuti e mazziati, in soldoni. Frustrati due volte.
Ma il modo di correre in pista è innaturale per almeno altri due motivi: il primo, fondamentale, è che in quanto cacciatori i greyhound non competono ma collaborano tra loro, la caccia è collaborazione tra membri dello stesso gruppo, è strategia, è sinergia. Le corse e l’allenamento per le corse trasformano i greyhound in quello che non sono, deprimono la loro naturale socialità a vantaggio di una innaturale competitività. Dunque snaturano la loro essenza. Tutti quelli che hanno potuto osservare la straordinaria capacità dei greyhound di socializzare tra loro, malgrado l’intervento dell’uomo, sanno di cosa parliamo.
Il secondo motivo è il modo stesso di correre: chi ha avuto il piacere di vedere un greyhound correre libero avrà notato la differenza con la corsa in pista. Da una parte corsa a zig zag e felicità, dall’altra movimento rettilineo con espressione tesa e rigida.
Dunque, affermare che correre in pista significhi rendere felice un greyhound, affermare che ciò significhi dargli la possibilità di esprimere la sua natura, è una gigantesca mistificazione.
Dare la possibilità ai levrieri di esprimere la propria motivazione, renderli quindi appagati e realizzati, è possibile, purché l’attività sia svolta in maniera ludica, il che sarà oggetto di un ulteriore approfondimento.
Eleonora Bizzozero, Anna Botta, Massimo Greco © Riproduzione riservataTags: antiracing, approccio al cane, cultura cinofila, greyhound, greyhound racing, levrieri, levriero, maltrattamenti