I levrieri oltre la retorica dei figli del vento
“Repetita Iuvant”, le cose ripetute giovano, dice una sentenza latina che in realtà non è proprio sempre azzeccata.
Non è azzeccata, per esempio, quando si continua a parlare dei levrieri come “figli del vento” o quando si continua a raccontare la storia dei levrieri magnificandone la loro nobiltà antica. Non è azzeccata perché non aiuta i levrieri rescue.
Che i levrieri siano veloci è noto a chiunque, la loro velocità è stata fondamentale per dare loro un posto di rilievo in società in cui la caccia era importante e riservata a ceti sociali di status elevato. Tuttavia oggi la loro velocità è una condanna, perché li costringe in una dimensione di sfruttamento, dal momento che corse e caccia sono attività a fine di lucro o praticate in paesi o condizioni in cui il rispetto degli animali è minimo.
Questo continuare a enfatizzare la loro velocità come tratto caratteristico oscura o addirittura nasconde il fatto che i levrieri possono essere eccellenti animali da compagnia. Il motivo è che, dove sono impiegati per cacciare e correre, i levrieri sono allevati e allenati enfatizzando le loro qualità meno utili per vivere in famiglie nella società moderna: la predatorietà, la competitività e la diffidenza verso l’uomo.
Infine, se c’è un futuro dignitoso per i levrieri in società e culture industrializzate e fortemente urbanizzate, non può che essere un futuro da animali da compagnia, e dunque animali allevati per favorirne l’integrazione in contesti fortemente umanizzati.
L’era dei “figli del vento” deve cedere il passo all’era dei levrieri come semplici compagni di vita: continuare a insistere con questo essere “figli del vento” li riporta sempre indietro alla loro condizione di corridori o cacciatori sfruttati.
Quanto alla loro storia, è legata a un passato che non può ritornare e non ritornerà, quello di essere cani destinata alla caccia e come tali cani che solo i nobili potevano possedere.
Questo insistere sulle loro nobili origini è utile nei paesi in cui sono sfruttati, perché mostra la palese mancanza di rispetto che vi è oggi nei loro confronti da parte dell’industria e di cacciatori senza scrupoli. Ma insistere su questo in un paese come il nostro vuol dire rimarcare quell’aspetto di nobiltà e di esclusività che tanto piace ad alcuni “levrieristi” nostrani e che tutto sommato, sotto sotto, sono anche un po’ affascinati dal mondo delle corse e della caccia alla lepre.
A noi questa enfasi sulla corsa e sul passato aristocratico non interessa, perché a noi interessa il fatto che non vogliamo che i levrieri siano sfruttati e maltrattati, esattamente come per tutti i cani che non hanno nessuna storia, nessun pedigree e nessun titolo nobiliare, e dei quali noi affermiamo la dignità, a prescindere dalla loro storia e dalla loro bellezza, vera o presunta.
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