Esportazione e greyhound racing commerciale
L’industria delle corse esporta greyhound in maniera abituale e questo non riguarda soltanto Irlanda e UK, ma anche Nuova Zelanda, USA e Australia. Per quanto riguarda l’Europa, alcuni cani sono esportati verso paesi in cui sono organizzate gare dove, almeno ufficialmente, non sono consentite scommesse: è il caso dei paesi europei dove è attiva l’European Greyhound Racing Confederation, (Romania, Danimarca, Finlandia, Repubblica Ceca e Ungheria). Peraltro chiunque può legittimamente acquistare un greyhound irlandese e fare corse amatoriali in molti paesi, compresa l’Italia. Possiamo trovare questo discutibile, ma non è detto che i cani siano trattati male: anche se noi non siamo favorevoli alle corse amatoriali siamo consapevoli del fatto che sono molto differenti da quelle commerciali, e se i cani sono trattati come animali d’affezione stanno molto meglio che presso i trainer.
La questione diventa invece seria quando i cani sono esportati in maniera sistematica verso paesi in cui sono assenti programmi di adozione o peggio ancora una decente legislazione di protezione degli animali. È il caso di paesi asiatici come Pakistan e Cina, su tutti, ma anche Vietnam e Corea del Sud in maniera minore. In Pakistan i greyhound sono usati per la riproduzione, ma anche per il coursing e per la caccia, in Cina per corse clandestine con scommesse, in corse amatoriali, per la caccia o nello zoo di Shangai. In questi paesi i cani vivono in condizioni spesso vergognose e decisamente peggiori rispetto a quelle, peraltro già non entusiasmanti, in cui vivono nei paesi di origine, e il loro destino è segnato dalla mancanza di prospettive di adozione. Non sono rari i casi di greyhound finiti nel mercato della carne in Cina insieme a migliaia di altri cani, spesso rubati.
Questo indigna, e giustamente, l’opinione pubblica dei paesi di partenza, anche se, conti alla mano, il numero di greyhound distrutti nelle civili Irlanda, UK o Australia è infinitamente superiore a quelli esportati.
L’esportazione in questi paesi è preoccupante, soprattutto per quanto riguarda la Cina: in questo paese scommettere sulle corse è proibito, ma se questa proibizione dovesse venire meno si aprirebbe un mercato vastissimo che aumenterebbe a dismisura lo sfruttamento dei greyhound da corsa ovunque. E questo al di là delle forme di crudeltà documentate in alcune zone della Cina, come quella di bollire i cani vivi.
Dunque ogni iniziativa in grado di documentare l’esportazione di greyhound verso questi paesi è importante e mostra che all’industria delle corse non importa nulla dei cani, perché questi ultimi sono solo fonte di reddito.
D’altra parte non è salvando qualche cane, o impedendo che qualcuno di loro parta, che si risolverà il problema, perché l’esportazione non è una causa ma una conseguenza. La causa è il fatto che i greyhound da corsa, nei paesi in cui esiste il greyhound racing commerciale, sono animali da reddito destinati alle corse, dunque prodotti, allevati, allenati e venduti per profitto ad acquirenti che li usano per farli correre o cacciare e non facendoli vivere come animali d’affezione. Questa è la differenza fondamentale tra chi alleva e vende pet e chi alleva e vende cani da corsa in maniera industriale: lo statuto di animali d’affezione a tutti gli effetti e fin dalla nascita riconosciuto ai primi.
Ne consegue che se vogliamo eliminare l’esportazione dobbiamo agire per la proibizione delle corse commerciali nei paesi esportatori, e dobbiamo appoggiare tutte le iniziative delle associazioni che si battono per bloccare lo sviluppo della domanda di cani da corsa nei paesi destinatari. L’abolizione della domanda sarà un danno per l’industria che produce l’offerta e la fine dell’industria abolirà l’offerta. L’unico modo efficace per salvare i greyhound dall’esportazione è di intensificare e rendere più forte e incisiva l’attività per chiudere l’industria, costruendo una rete tra tutti quelli che hanno interesse a vederne la fine. Per raggiungere il risultato dobbiamo intensificare la campagna di denuncia, ma soprattutto riuscire con il sostegno della società civile a convincere la politica che ha il potere di chiudere piste e perseguire chi scommette.
Massimo Greco
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