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I Miserabili: il triste destino dei greyhound.

17 Ottobre 2015, a firma di Fenella Souter

Gli sporchi segreti sul greyhound racing sono stati rivelati, ma i cani continuano a soffrire: allevati all’eccesso, spesso isolate ed eliminati tutti troppo in fretta.

A volte serve una catastrofe per scoprire una vera vocazione. Una fredda mattina di Settembre del 1992, Christine Dorchak si trovava nella sua città natale Boston, a spasso con il suo cane, un black russian terrier di nome Kelsey, quando durante un attraversamento pedonale un tram non si fermò allo stop. Sia la donna che il cane vennero investiti da un muro d’acciaio in velocità. Christine Dorchak, all’epoca ventiseienne, venne dichiarata morta sul momento.

Molte persone non si rialzano più dopo esser state investite così” dichiara ora pacatamente, mentre ci racconta la sua storia, sedute in un Caffè di Sidney, nel corso di una recente visita in Australia.

Accanto a lei c’è suo marito, Carey Theil, affaticato dal jet-lag ma sorridente di fronte al racconto del miracolo accaduto a sua moglie. Per qualche ragione Christine sopravvisse, nonostante le fratture alla schiena ed al collo, un serio trauma cranico e una grande amnesia. Infatti Christine scoprì di aver dimenticato tutto, dal come fare a scrivere al riconoscere i suoi stessi famigliari. Le restava solo un legame.

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Emma Haswell, the owner of Brightside Farm Sanctuary in the Huon Valley, near Hobart, with a posse of greyhounds she has rescued. Photo: Peter Mathew

“Mi sono svegliata dal mio primo coma che avevo completamente perso la memoria, tranne che per una cosa: il mio cane. L’unica cosa che riuscivo a dire era “Come sta Kelsey? Cosa le è successo?prima di ricadere nuovamente in coma. Quando mi sono risvegliata ho chiesto nuovamente la stessa cosa. Era tutto quello a cui riuscivo a pensare”.

Christine chiedeva così spesso notizie del suo cane, che l’ospedale concesse un permesso speciale di visita per Kelsey, le cui ferite avevano richiesto l’applicazione di una protesi all’anca. La memoria non è mai ritornata, ma è rimasto un profondo senso di riconoscenza nei confronti di Kelsey. “Sentivo che mi aveva salvato la vita, avevo la sensazione che mi avesse spinto via salvandomi dal peso maggiore dell’impatto e pensavo ‘se riuscirò a rialzarmi lotterò per aiutare i cani’”. Le ci è voluto un po’ di tempo per trovare il modo.

Circa 5 anni dopo” racconta “sono venuta a sapere che esistevano due strutture nel mio paese dove c’erano circa 1000 cani costretti a vivere in minuscole gabbie, portati fuori solo 3 – 4 volte al mese per correre. A volte morivano per gli sforzi nel correre. E quando diventavano troppo vecchi o non correvano abbastanza veloci venivano uccisi. E questo non mi piaceva per niente”.

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American campaigners Christine Dorchak and Carey Theil. Photo: Courtesy of Christine Dorchak

I cani ovviamente erano greyhound. Nel 2001 Christine e suo marito fondano GREY2K USA, un’associazione di volontariato e tutela dei greyhound. Nel frattempo la Dorchak intraprende gli studi di laurea in legge per prepararsi. (Kelsey è mancata subito dopo la laurea: “Credo che abbia pensato di aver fatto tutto ciò che poteva e che ora stava a me”).

Christine e suo marito sono venuti in Australia per parlare con le autorità e supportare gli attivisti locali con le storie dei successi di GREY2K negli Stati Uniti. La missione di GREY2K è vedere finalmente il greyhound racing spegnersi e morire negli otto paesi del mondo dove ancora si pratica per lucro. La crisi, dicono, è in corso. Non rivendicano tutti i meriti, e le preoccupazioni sul benessere dei cani non è l’unica ragione, ma questo sport adesso è illegale in 39 stati americani. “Quando abbiamo iniziato” racconta Christine “c’erano 59 cinodromi in 15 stati. Ora ce ne sono 20 in 6 Stati”.

La coppia è arrivata qui come forieri di sventura per l’industria australiana del greyhound racing, che frutta ancora circa 3,5 miliardi di dollari l’anno, ma è assediata da scandali e polemiche sull’uso di esche vive, dalla scoperta di “fosse comuni” dove sono state ammassate carcasse di greyhound con fori di proiettile, dall’esportazione fatale dei greyhound in Asia, dalle accuse di doping, e dalle continue critiche sulle percentuali allarmanti di casi di eutanasia su cani sani e giovani.

A bone-breaking crash, all too common in greyhound racing. Photo: Source: Queensland Greyhound Racing Industry Commission of Inquiry (MacSporran report, 2015)

A bone-breaking crash, all too common in greyhound racing. Photo: Source: Queensland Greyhound Racing Industry Commission of Inquiry (MacSporran report, 2015)

La storia dell’Australia è quasi un’immagine speculare di ciò che è accaduto negli Stati Uniti, affermano Christine e suo marito. “Abbiamo avuto i vostri scandali, abbiamo visto cosa succede e sappiamo come va a finire”.

Sono un esempio tipico di attivisti animalisti che lottano contro il greyhound racing; sostenitori che contano sui fatti oltre che sulle emozioni ed orano cavalcano l’onda dell’indignazione pubblica. Odiati da molti nell’ambito delle corse e definiti “pazzi animalisti” decisi a distruggere l’industria delle corse (questa parte è vera), sono sicuramente determinati e risoluti, il genere di persone che decide di diventare vegano e s’impegna a condurre uno stile di vita in armonia e rispetto con le altre specie viventi. Il genere di persone che finisce investito da un treno e riesce comunque a rialzarsi.

I riflettori sono puntati su Wentworth Park, nel sobborgo di Glebe a Sidney, ma sembra non ci sia nessuno. È sabato sera e gli stand sono deserti. All’interno ci sono solo circa 200 persone; il giovane e il disperato, il primo spera che sia uno scherzo, il secondo che la fortuna lo assista. Il vero movimento di gente qui non si vede da un po’. Si è spostato tutto su siti come TAB.com.au e online. Nei kennel a bordo pista gli addestratori stanno preparando i greyhound per la prossima corsa. Alcuni danno loro delle pacche, uno addirittura li bacia.

Scott Parker of Greyhounds Australasia. Photo: Pat Scala

Scott Parker of Greyhounds Australasia. Photo: Pat Scala

Sentimenti, però che non vanno molto lontano quando si tratta di greyhound. Sono parte del gioco, come i gliadiatori nell’arena, utili finché riescono a correre più veloci degli altri cani.

Rispettati, persino amati, ma alla fine più simili ad un prodotto usa e getta con la coda.

E’ un business, e questi cani rappresentano una forza lavoro muta tenuta in schiavitù, costretta a lavorare per un’industria multi miliardaria delle scommesse che offre loro solo pessime condizioni di vita ed un piano di pensionamento rapido, spesso fatale.

Nel mese di febbraio di quest’anno, il programma Four Corners della rete ABC ha trasmesso un servizio di denuncia sull’uso delle esche vive nell’industria del greyhound racing. I telespettatori sono rimasti scioccati nel vedere un servizio in incognito in cui si vedevano animali vivi, dai maialini agli opossum, usati come esche/richiami che finivano sbranati da greyhound eccitati al massimo. Una scena mostrava una bambina che assisteva alla vista di un animale fatto a pezzi davanti a lei.

L’insensibilità mostrata da addestratori, istruttori e proprietari, che includevano anche alcuni nomi famosi dello sport, condita con le loro sfacciate bugie, hanno sconvolto ed atterrito la nazione. È stata la catastrofe per un’industria già segnata da scandali simili in passato. Ne sono conseguite sospensioni, interdizioni a vita e procedimenti penali. I consigli di amministrazione sono stati sciolti, e gli amministratori delegati destituiti. Tutti insistevano sostenendo di essere scioccati dall’accaduto.

Animals on Emma Haswell's rescue farm. Photo: Peter Mathew

Animals on Emma Haswell’s rescue farm. Photo: Peter Mathew

Ma non è finita lì. In agosto la ABC ha ottenuto dal Greyhound Racing NSW documenti interni allarmanti nei quali si evince che la principale preoccupazione del GRNSW è la ricaduta economica. La documentazione rivelava tentativi di insabbiamento, soffiate, cattiva gestione e cinismo nella regolamentazione del NSW, compresi i promoter sportivi.

La documentazione è stata inviata giorni prima della messa in onda della trasmissione Four Corners, per cui l’amministratore delegato Brent Hogan ha avuto il tempo di trovare un modo per far girare rivelazioni negative ed apparire innocente agli occhi del governo di stato (un cappio fiscale comporta milioni di dollari di tasse incanalati nell’industria).

Siamo nella posizione in cui abbiamo bisogno di visibilità politica per fare qualcosa di significativo ed indipendente” ha scritto Brent Hogan ai membri del suo staff. In un email privata ha inoltre segnalato la possibilità di creare una sorta di taskforce finta: “nominare un gruppo cappeggiato da un importante QC (avvocato della Corona nominato dietro raccomandazione del capo della magistratura, nda), un tecnico esperto (si sa chi è, ma deve essere indipendente da noi, come il direttore di una scuola di veterinaria o qualche dog whisperer con un dottorato), ed un consigliere dall’integrità professionale… che rassicurerebbero il governo”.

Emma Haswell, with Jenny, one of her rescued greyhounds. Photo: Peter Mathew

Emma Haswell, with Jenny, one of her rescued greyhounds. Photo: Peter Mathew

(Una commissione speciale d’inchiesta del NSW guidata dal QC ed ex giudice dell’Alta Corte Michael McHugh è attualmente al lavoro ma non ha ancora presentato i risultati). Subito dopo la messa in onda del programma la RSPCA (Royal Society for the Prevention of Cruelty of Animals) ha fatto irruzione in diverse proprietà. Un membro dello staff di GRNSW infastidito ha brontolato che non fossero stati avvisati in anticipo.  “Difficile fidarsi ora della RSPCA, dopo la brutta scottatura che ci hanno dato”.

Al momento l’amministratore delegato di RSPCA Steve Coleman ha dichiarato di esser inorridito dalle rivelazioni: “Va in controtendenza con il significato del termine “integrità” se le persone sono state informate in anticipo dell’esistenza di un’indagine di RSPCA”.

Dopo lo scalpore suscitato dalla notizia dell’uso di esche vive, è stato facile dimenticarsi degli spettatori silenziosi: gli stessi greyhound. “La routine quotidiana di un greyhound – come sono alloggiati, la mancanza di interazione sociale, la totale assenza di momenti ludici – è una deprivazione assoluta ed è completamente dimenticata” afferma Lyn White di Animals Australia che, assieme a Animal Liberation Queensland, ha fornito le riprese in incognito a Four Corners.

Generalmente questi cani sono rinchiusi in spazi angusti. E’ consentito loro uscire solo due volte al giorno per 15 minuti e spesso sono costretti ad allenarsi nella corsa su tapis-roulant, non all’aperto”.

Lyn White dice che c’è bisogno di cambiare la nostra percezione del problema. “Siamo condizionati a pensare “Oh i greyhound sono allevati per correre, è quello il loro unico scopo”. Ma i greyhound non sono diversi da qualsiasi altro cane.

Non tutti sono d’accordo. Lo scorso maggio, nel corso della presentazione di un’inchiesta sul greyhound racing, Lloyd Klumpp, direttore generale di Biosecurity Tasmania (che fa parte delle industrie primarie dello stato e del dipartimento ambientale) ha osservato che mentre l’opinione pubblica potrebbe avere a cuore lo “sfruttamento” dei greyhound, esso non costituirebbe un problema legale per l’Animal Welfare Act (legge promulgata nel 2002 per regolamentare il trattamento degli animali nella ricerca scientifica, tutelare e promuoverne il benessere e la cura secondo gli standard generali accettati; fonte: http://www.austlii.edu.au/au/legis/wa/consol_act/awa2002128/s3.html).

Il greyhound racing è considerato un settore dell’allevamento” ha dichiarato “e come tutte le industrie del settore può capitare che ci siano animali in eccesso o scartati da abbattere attraverso l’eutanasia o la macellazione”.

C’è anche chi nel settore li considera “cani da lavoro”. In entrambi i casi tuttavia, sono considerati più sacrificabili dello spaniel di casa.

La percentuale di soppressione dei greyhound sani è spaventosa. La maggior parte dei greyhound allevati che potrebbero vivere fino a 10 – 15 anni, non riesce ad arrivare ai 3 – 4 anni. Animals Australia crede che circa 18000 cani – compresi quelli giovani, meno giovani e feriti durante le corse – sono uccisi ogni anno in Australia.

Dei più di 20.000 cani nati ogni anno, solo 2000 arriveranno a vivere un’esistenza intera. Stimiamo che il 90% dei cani sani sono uccisi semplicemente perché non hanno corso abbastanza veloce” dice Lyn White.

L’RSPCA concorda sul fatto che migliaia di greyhound indesiderati – molti dei quali sono scarti da allevamento intensivo – sono soppressi nonostante siano sani e adatti ad essere adottati.

Una scadente tenuta di registri fa sì che nessuno disponga di dati precisi, neppure le autorità di regolamentazione. Un rapporto interno dell’industria ha azzardato un dato che andrebbe dai 13000 ai 17000 cani all’anno, ma non si sa con precisione il numero di quelli dati in adozione dalle associazioni né quelli che hanno vissuto la loro vita nei terreni dei loro proprietari, per cui è più probabile che il numero esatto si aggiri più intorno ai 13.000 che non ai 17.000.

E’ ancora inaccettabile, concorda Scott Parker, amministratore delegato di Greyhound AustralAsia, l’organo di rappresentanza dell’autorità di regolamentazione di stato. Il suo obbiettivo è arrivare a praticare “nessuna eutanasia inutile” entro la metà del 2020.

Per un greyhound la cui vita è appesa ad un filo molto dipende dalla parola “inutile/superfluo”. Parker è riluttante a individuare i limiti entro cui l’eutanasia “necessaria” inizia e finisce, e apre un discorso congiunto sugli azionisti, le prospettive non industriali, “i diversi tipi di accordi che rappresentano una pietra miliare nel miglioramento del benessere animale”, e così via. In altre parole cosa vuole la gente quando si tratta di uccidere i greyhound?

Dobbiamo educare le persone a capire cosa significa davvero “nessuna eutanasia inutile” spiega mentre ci incontriamo al cinodromo di Victoria’s Sandown. “La mia speranza è che (se tu chiedi alla comunità in quale caso l’eutanasia si possa considerare accettabile), la gente risponda “nessuno”, ma poi si trova esposta a situazioni in cui potrebbe essere possibile o impossibile rifiutarla del tutto: il fatto è che a volte le ferite sono molto gravi, un greyhound può venir morso da un serpente, o investito da un’auto per la strada… gli incidenti capitano, perciò non si può escludere a priori la soppressione”.

Inoltre è difficile prevedere come il business dei greyhound possa sopravvivere dal punto di vista commerciale praticando l’eutanasia solo ai cani vittime di un morso di serpente o di un incidente stradale. Mentre sono circa 200 i cani che ogni settimana si feriscono durante una corsa, anche se non tutti lo considerano un incidente.

Sono cani magri” dice Christine Dorchak “hanno la percentuale di grasso corporeo più bassa degli altri cani e, se mentre corrono in 8 a 60-70 km all’ora cadono l’uno sull’altro, le loro ossa si spezzano. E un greyhound con le zampe rotte è un cane inutile, senza valore. Pochissimi allevatori sono disposti a spendere 1000 $ per la riabilitazione.

Il veterinario Dott. Ted Humprhies, è una persona non gradita nell’industria dei greyhound dopo aver vuotato il sacco negli anni ’90 sulla corruzione diffusa nell’ambiente  e sostiene di essersi offerto più volte di praticare l’eutanasia ai cani gratuitamente per risparmiar loro una morte brutale. Afferma di aver visto corpi di cani impiccati o uccisi a colpi di martello. Molti addestratori e proprietari, dichiara Humphries, sono “persone perbene che provano un affetto genuino verso i proprio cani e non sono contenti di sopprimerli” ma gestiscono pur sempre un’impresa commerciale. L’aspetto positivo è che secondo lui la percentuale dei decessi è calata in qualche modo, come conseguenza delle numerose adozioni e dei costi d’allevamento sempre più proibitivi.

All’industria piace sbandierare il suo Programma di Adozione dei Greyhound (GAP) che piace a molti, ma in realtà non ci sono semplicemente abbastanza famiglie per tutti i cuccioli in eccesso che non correranno mai, né per i cani adulti ritenuti “in età oltre la durata utile” alle corse. Solo una minoranza ottiene un lieto fine.

È arrivata la primavera alla fattoria santuario di Brightside, nella Huon Valley vicino a Hobart. I rami sono pieni di gemme, e gli asini, i cavalli da tiro, le pecore e i cammelli pascolano insieme sull’erba nuova come strane coppie avanzate dall’Arca di Noè. Vicino alla casa è tutto uno starnazzare stridulo, un abbaiare esuberante e un grugnire di maiali che oziano tra bagni di fango. In una corsa sfrenata da una parte all’altra, quattro greyhound recentemente salvati danno il benvenuto agitando la coda.

Ogni animale qui porta con sé una storia vergognosa. Un beagle tenuto alla catena per 9 anni, cavalli quasi morti di fame, galline ridotte a spaventapasseri spelacchiati in allevamenti intensivi, 32 maiali tenuti dentro una casa per due anni e mezzo. È come una galleria dell’indifferenza umana.

La proprietaria di Brightside, Emma Haswell, appare alla porta e tranquillizza la banda dei cani di casa. È alta, attraente, coi capelli ricci e l’aria frettolosa di un San Francesco sopraffatto dall’enorme mole di lavoro che lo aspetta.

Emma ha trascorso anni a lavorare in incognito per la tutela degli animali, intrufolandosi illegalmente nelle aziende di allevamento intensivo con una macchina fotografica e a volte uscendone con un maialino maltrattato o una gallina nascosta sotto la giacca, ma lo stress di assistere a tutta quella sofferenza ha finito per esaurirla. Adesso si dedica a salvare i greyhound.

In casa un barboncino salvato da un allevamento di cuccioli è stravaccato sul divano, mentre un agnello orfano si aggira impettito sulle zampe malferme. Un greyhound chiaro si avvicina per riposare sul mio fianco, sollevando il suo sguardo eloquente. La sua gentilezza scaccia via tutti i miei pregiudizi infantili sui greyhound: aggressivi, senza carattere, distaccati, spaventosi con le loro museruole. Mi ci è voluto un attimo per notare il moncherino di quella che una volta doveva essere una zampa posteriore, amputata dopo essersi gravemente ferita durante una corsa.

Emma non è diventata un’attivista dei diritti degli animali dopo esser stata investita da un tram, ma ha avuto la sua epifania. 12 anni fa mentre viveva a Londra, l’ex allevatrice di pecore nonché infermiera veterinaria, ha visto un volantino ad una manifestazione cinofila di beneficenza che diceva: “Fermiamo l’esportazione dei greyhound dall’Australia all’Asia”. “Successivamente vidi l’immagine di un pezzo di carne di greyhound, con la lunga coda ancora attaccata, sul bancone del mercato della carne in Asia, e mi sono sentita male”. Ho pensato “quello era un greyhound australiano”, un corridore mancato in Australia, esportato in Asia per finire la sua carriera e poi essere macellato.

Sono passata in breve tempo dall’essere un’allevatrice di 6° generazione mangiatrice di carne al diventare un’attivista dei diritti degli animali vegana. Tornata a Melbourne ho sentito che a Granton (Tasmania) qualcuno aveva seppellito vivo un greyhound sotto ad una lamiera, dopo avergli tagliato le orecchie così da impedirne l’identificazione, ed è in quel momento che ho trovato la mia vocazione”.

Da allora ha fatto adottare 400 cani e la richiesta sta aumentando. La sua speranza è che le persone imparino a conoscere meglio i greyhound e chiedano la fine di ciò che lei considera solo uno sfruttamento per intrattenere gli scommettitori.

“Ho iniziato con uno o due cani a settimana, ma era difficile trovare loro una casa. Gli addestratori non volevano lasciarmeli. Troppi problemi. Preferivano piuttosto sopprimerli. Mi dicevano: Devi essere qui entro 24 ore, altrimenti gli sparo”. Volevano rimpiazzarli al più presto con un altro cane.

Due dei segugi si accomodano accanto a noi sulla veranda. “Come puoi avere un cane come un greyhound e farlo fuori così da poterlo sostituire con un altro più veloce?” chiede. Come a dimostrare il concetto, l’agnello scorrazza fuori mentre i cani lo ignorano.

Gli ex corridori non sono privi dei problemi comuni negli altri cani, ma Emma Haswell è una sorta di “sussuratrice” di greyhound. “Quando i cani arrivano, molti hanno un istinto predatorio molto forte, così li metto in un recinto e alcuni li lascio da soli per qualche settimana. Più a lungo restano fermi senza far nulla, più diventano rilassati. Molti addirittura disimparano quasi a cacciare”.

Parlando con gli addestratori con cui tratto, so che la maggior parte dei cuccioli di greyhound non caccia. Dicono che li devono incoraggiare a farlo, usando un’esca, una palla o un animale vivo, la pelliccia o uno straccio impregnato dell’odore di selvaggina, ad alcuni di loro continuano a non cacciare. Altri lo fanno ma non sono abbastanza veloci.”

Per come vengono tenute in considerazione le problematiche sul benessere animale, migliorare le condizioni di vita dei greyhound non è uno sforzo titanico, insiste Emma. “E’ un’industria relativamente piccola. Non si tratta di allevamento intensivo, dove si parla della vita di almeno 470 milioni di polli” “Se si trattasse dell’allevamento di un qualsiasi altro tipo di cane, quest’uccisione di massa non sarebbe accettata. Nessuno la tollererebbe se fossero golden retriver, barboncini o labrador”.

L’industria dei greyhound ha iniziato a mandare in onda pubblicità strappa lacrime per comunicare la sua nuova presa di coscienza: “Il greyhound racing – abbraccia il cambiamento” si spera che questa riforma possa salvare il settore, o almeno migliorarne l’immagine pubblica. “Riformare il greyhound racing?” sbotta un attivista “E‘ come cercare di riformare la schiavitù infantile”.

Scott Parker ammette che se da una parte l’industria si è assunta i suoi obblighi legali e finanziari, dall’altra non ha adeguatamente considerato “l’obbligo morale” e questo deve cambiare. “Non abbiamo scelta” continua “l’industria non può continuare a operare su basi secondo cui praticare l’eutanasia a greyhound perfettamente sani è un fatto accettabile dalla società”.

Parker, che è stato a capo per 18 mesi, ha portato a termine alcune delle riforme in programma: più denaro per i programmi di adozione e tutela del benessere animale; allevamenti mirati per ridurre il numero di cuccioli in eccesso; minor numero di cucciolate; una migliore tracciabilità della vita di ogni cane per impedire che scompaiano nel nulla; un sistema di autorizzazioni e licenze più ampio; maggiore trasparenza ed educazione.

Ma il business dei greyhound non è racchiuso solo nella capitale. È fiorente anche nei piccoli centri rurali, nelle proprietà di campagna, oltre la recinzione di cortili in periferia. Se i consigli regolatori non sapevano nulla delle fosse comuni e dell’uso di esche vive, persino dopo segnalazioni ufficiali di attivisti animalisti, che speranza abbiamo di un controllo maggiore? E per quanto riguarda i finanziamenti?

Ma c’è una domanda ancora più importante qui. È ancora possibile per l’industria del greyhound racing avere una gestione più umana continuando a sopravvivere come attività commerciale?

Si, insiste Scott Parker, che immagina un dialogo tra le parti interessate – compresi gli attivisti per i diritti animali – per raggiungere il punto chiave che metta d’accordo tutti.

Ma gli oppositori del racing, e persino qualche sostenitore, pensano che questo sia semplicemente impossibile. “Non puoi regolamentare senza tener conto della crudeltà del greyhound racing” dice Christine Dorchak. “Farebbe saltare l’industria, che uscirebbe dal mercato delle scommesse. I cani sono allevati all’estremo per ottenere quelli più veloci, i cani continueranno a morire correndo, così come quelli in eccesso – per cui non ci saranno abbastanza famiglie adottive alla fine – quindi il dog racing non è assolutamente positivo/a favore dei cani.”

Tuttavia fa bene alle scommesse, come dice John Kaye, deputato dei verdi del New South Wales, sostenitore da lungo tempo della fine del greyhound racing: “Il problema più grande che abbiamo non è l’industria dei greyhound in sé, ma il business delle scommesse. E’ lì che si fanno i soldi veri, ed è quello che dobbiamo combattere”.

Quindi si tratta di eliminare alcune mele marce e cambiare alcune abitudini antiquate, o cercare di cambiare una cultura radicata che ha gli occhi puntati solo sul premio in palio ed è cieca di fronte alla sua stessa brutalità? Un’industria che vuole davvero cambiare/riformarsi o un’industria che non può farlo senza piantare i semi della sua stessa distruzione? E che speranza c’è se persino gli organi ufficiali non riescono a riconoscere i limiti comuni della crudeltà?

Il veterinario Tend Humphries ci racconta una storia antecedente allo scandalo sull’uso di esche vive: “Un intendente capo mi raccontò (mentre l’esca era esposta): ‘Sai è possibile che qualcuno finisca in prigione per dare un coniglio ad un greyhound. Diamine, si tratta solo di qualche coniglietto! Voglio dire, un uomo potrebbe essere arrestato per questo’. “Ho pensato: Beh, perché no?”.

74% – percentuale di cani identificati come “ritirati dalle corse” ma successivamente registrati come soppressi per eutanasia. 5 greyhound a settimana – numero di cani uccisi durante una corsa o soppressi in seguito alle ferite riportate 18.000 – numero di greyhound allevati ogni anno. 

Fonte: smh.com.au/good-weekend/underdogs-the-sad-fate-of-greyhounds

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Presidente e socio fondatore di Pet levrieri dalla data di fondazione. Nella vita svolge la professione di psicologa e psicoterapeuta e di formatrice. E’ laureata in filosofia e in psicologia. Per crescita personale si è formata e diplomata come educatrice cinofila presso la scuola SIUA. Ha svolto il corso professionalizzante per la gestione della ricerca e del soccorso di animali smarriti, organizzato da Pet Detective. Ha iniziato a scoprire quello che accade ai greyhound nel racing in seguito all’adozione della sua prima grey, Silky, nel 2008. Da qui il suo impegno civile antiracing e anticaccia in difesa dei greyhound, dei galgo e dei lurcher. Sposata con Massimo Greco, altro socio fondatore di Pet levrieri, condivide con lui questo impegno.

Insieme condividono la loro vita con un gruppo di levrieri rescue e una segugia. Svolge questo ruolo in maniera totalmente gratuita.

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Vice presidente di Pet levrieri. Nella vita è Direttore delle Risorse Umane di una multinazionale del settore IT. 
Per passione personale nel 2020 ha conseguito il titolo di educatore cinofilo presso la scuola cinofila Il Mio Cane.
Ha partecipato al corso di gestione della ricerca e del soccorso di animali smarriti organizzato da Pet Detective.
Nel marzo 2014 adotta “per caso” Sandy, greyhound irlandese, e scopre la dura realtà dei levrieri sfruttati nelle corse e nella caccia decidendo così di impegnarsi concretamente nell’Associazione.
Coordina il gruppo di ricerca dei levrieri smarriti, è membro del Gruppo Adozioni e partecipa come portavoce di Pet levrieri ad eventi di informazione e divulgazione delle attività dell’associazione. 
Vive tra Milano e la Valsassina con il marito Massimiliano, ha due figli ormai adulti, Giorgia e Marco, e tre lurcher irlandesi: Robin, Coco e Lucy – e Sandy sempre nel cuore.
Svolge i suoi incarichi in Pet levrieri a titolo assolutamente gratuito.
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Vice Presidente e socio fondatore di Pet levrieri, laureata in scienze politiche internazionali, gestisce un’impresa di consulenze turistiche. In Pet Levrieri si occupa in particolare delle relazioni con la Spagna e dei profili dei galgo e si reca più volte all’anno nei rifugi spagnoli per conoscere i cani e stilarne i profili. Fa parte del team che amministra sito e pagine Fb dell’associazione.
Ha adottato la galga Debra nel 2011. Venire a contatto con la realtà dei levrieri rescue l’ha spinta ad approfondire il discorso e a impegnarsi attivamente a favore dei grey, galgo e lurcher sfruttati e maltrattati in tutto il mondo. Oltre a Debra vive con due cani meticci, salvati da situazioni di abbandono.
Svolge i suoi incarichi in Pet levrieri in maniera totalmente gratuita.

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Membro del consiglio direttivo e socio fondatore di Per levrieri, dove si occupa dell’organizzazione logistica degli eventi e del merchandising. Nella vita è titolare di un laboratorio odontotecnico dal 1990. Da sempre appassionato di cani, il suo primo cane è stato un setter irlandese. Sposato con Marianna Capurso, anche lei socia fondatrice di Pet levrieri, condivide con lei l’impegno antirancing e anticaccia in difesa dei levrieri. Accanto al presidente di Pet levrieri, ha partecipato alla prima conferenza mondiale sui greyhound in Florida nel 2016. Ha partecipato a molti corsi organizzati da Think Dog e Siua. Perle è stata la sua prima greyhound. Nella sua vita ora ci sono Peig e Inta, due lurcher, e Karim, greyhound salvato dal cinodromo di Macao, e Ricky, un pinscher, che è la mascotte di tutto il gruppo. Svolge i suoi incarichi in Pet levrieri in maniera totalmente gratuita.

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Membro del consiglio direttivo di Pet levrieri. Nella vita è una pasticciera. Dal 2014 a seguito dell’adozione di Rosie, una greyhound irlandese ha conosciuto la realtà dello sfruttamento dei levrieri. Da qui l’impegno in associazione. Coordina il gruppo facebook di Pet levrieri, gestisce il canale istituzionale Twitter, ed è membro del gruppo adozioni. Condivide la vita con il compagno Stefano, socio e volontario di Pet levrieri, James greyhound salvato in Irlanda e Jasmine greyhound sopravvissuta al cinodromo di Macao, nel cuore portano Rosie e Mags greyhound salvate in Irlanda. Svolge i suoi incarichi in Pet levrieri in maniera totalmente gratuita.

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Socio fondatore di Pet levrieri, si è occupato in associazione, a titolo puramente gratuito, di trasporti, rapporti con le autorità veterinarie e della comunicazione esterna, curando numerosi articoli sulla situazione dei greyhound e dei galgo nel mondo. Ha partecipato a numerose manifestazioni antiracing in Irlanda e Gran Bretagna. Dal 2022 fa parte del Board di GREY2K USA Worldwide, la più importante organizzazione antiracing mondiale. 
Laureato in filosofia e in Psicologia della comunicazione, insegna filosofia e storia nella scuola superiore di secondo grado; per crescita personale si è formato e diplomato come educatore cinofilo presso la scuola SIUA. 
Appassionato di musica, in particolare rock e irlandese, dal 2008 condivide le sue giornate, insieme alla moglie Stefania Traini, con levrieri rescue e un “pizzico” di segugi. Perché nella varietà si fanno più esperienze.
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Membro del consiglio direttivo di Pet Levrieri.
Dopo il liceo linguistico inizia a lavorare in banca ma dopo la nascita della terza figlia decide di volersi dedicare esclusivamente alla sua numerosa famiglia.
Il suo primo cane è stato Otello, un mix labrador-alano, poi è arrivata Gina, un bovaro svizzero.
Viene a conoscenza dello sfruttamento dei levrieri per caso attraverso un articolo trovato in rete e nel novembre 2015 partecipa ad un arrivo di Galgo di Pet Levrieri. Christa, una galga ancora senza famiglia, si butta tra le sue braccia per farsi coccolare. Dieci giorni dopo andrà a prenderla presso la famiglia foster e la porterà a casa. Da questo incontro speciale nasce il suo impegno concreto all’interno dell’Associazione.
Fa parte del gruppo adozioni e si occupa prevalentemente delle richieste estere (Svizzera, Austria, Germania).
A settembre 2018 si reca, insieme a Stefania Traini, a Macau per fotografare e stilare i profili dei cani che verranno in Italia. Qui, incrocia lo sguardo di Tamoko, che decide di adottare appena sarà pronto per il volo che lo porterà a Milano.
Vive a Lugano, Svizzera, con il marito Andrea e i figli Giulia, Alyssa, Cecilia e Tommaso. Membri della numerosa famiglia, oltre a Tamoko, sono anche Harry e Bob, lurcher irlandesi e Paco un meticcio salvato dalle strade di Napoli.
Ama trascorrere le giornate tra montagne e boschi oppure con un bel libro in mano.
Svolge i suoi incarichi in Pet Levrieri in maniera totalmente gratuita.
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